Vincent Van Gogh, il genio artistico di un uomo tormentato
- Giorgio Olimpo
- 11 gen 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Con Vincent Van Gogh si consuma l'ultimo definitivo strappo con l'arte impressionista, poiché l'artista non si limita più a rappresentare la realtà apparente ma si sforza di esprimere l’esperienza emozionale e spirituale che prova a davanti al mondo.
Così egli imprime un'accelerazione straordinaria alle evoluzioni della rappresentazione e dell'arte intesa come strumento esclusivo e privilegiato dell'espressione. In solo 5 anni, dal 1885 1890, l'artista olandese trasformò le capacità espressive dell'arte moderna.
Specchio tragico di esistenza dolorosa consumatasi rapidamente e conclusasi con il suicidio, la sua opera diventerà infatti il punto di riferimento a cui, direttamente o indirettamente, guardò gran parte degli artisti della prima metà del ‘900. Già prima del soggiorno parigino, durato dal 1886 al 1888, in cui scoprì la pittura impressionista e la sua tavolozza luminosa, Van Gogh strinse relazioni con alcuni degli impressionisti attraverso la sua attività di impiegato presso la filiale dell'Aja della Galleria Goupil di Parigi. Dopo il lungo soggiorno all’Aja, alla fine del 1883, tornò dai genitori a Neunen, nel brabante olandese. Nei 2 anni di permanenza in questa cittadina di campagna ritrasse luoghi e abitanti della zona, soprattutto contadini e tessitori: I mangiatori di patate, del 1885, preceduto da molti disegni raffiguranti lo stesso tema, è senz'altro l'opera più significativa di quel periodo. Nella penombra di un ambiente povero, seduti intorno a un tavolo, i protagonisti della scena consumano un pasto frugale a base di patate, coltivate in abbondanza nella regione e fonte di sostentamento principale per i più poveri. La lampada sul tavolo illumina i volti dei presenti con forti contrasti chiaroscurali, accentuandone i lineamenti grossolani definiti con tratto marcato. “Può certo essere evidente che è proprio un quadro di contadini”: questa frase, riferita al dipinto, e contenuta in una lettera scritta da Van Gogh all'epoca della realizzazione, rivela che il pittore indirizzò la propria ricerca verso una resa il più possibile verosimile alla realtà descritta, rifiutando qualunque convenzionalità o abbellimento. Fu probabilmente suggestionato dalla pittura francese legata a temi sociali di Millet e Daumier, alle cui tonalità terrose e dorate si può accostare la tavolozza del primo Van Gogh, cui unì le suggestioni della tradizione artistica fiamminga.

I quadri del periodo dell’Aja e quelli del periodo di Neuen appaiono ancora incerti, dominati da una pesantezza delle tinte e da una scarna composizione. È ad Anversa, dove si trasferì dopo la morte del padre, che Van Gogh scopri le stampe giapponesi, per poi subire un radicale cambiamento cromatico e formale a Parigi, dove raggiunse fratello Theo, impiegato nel mercato artistico. Dinanzi al panorama delle sperimentazioni che offriva l'ambiente artistico parigino, la tavolozza di Van Gogh si schiarì, mentre l'uso della spatola veniva progressivamente sostituito da una pennellata che si fa violenta e spezzata. All'inizio del 1888, attratto dalla luce del Sud, dall'ambiente isolato e tranquillo, Van Gogh si recò ad Arles, nella Francia meridionale. Entusiasta dei paesaggi luminosi e dei colori forti del Mezzogiorno, progettò di radunare in questa località un gruppo di artisti che lavorassero insieme prendendo ispirazione dalla campagna circostante. Non riuscì nel suo intento, ma convinse Gauguin, di cui apprezzava moltissimo l'opera, a raggiungerlo. Dopo poco però i rapporti fra i 2 artisti si incrinarono, fino a raggiungere esiti tragici quando Van Gogh, in preda ad una crisi nervosa, tentò di ferire Gauguin e si tagliò parte dell’orecchio sinistro. In seguito ad alcuni ricoveri all' ospedale di Arles, nella primavera del 1889, Van Gogh decise di farsi internare nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rèmy dove, nei momenti di lucidità, dipinse intensamente le sue opere più note. Ed è durante tale ricovero che il pittore realizzò il dipinto che ritraeva la sua camera, eseguendone tre versioni a olio tra il 1888 e il 1889. Con una prospettiva leggermente rialzata, ondeggiante e allungata, l’osservatore è richiamato entro la camera spoglia occupata da pochi oggetti, definiti con un tratto spesso, alcuni allineati in ordine geometrico sul tavolino: gli utensili dei pasti e quelli della toilette. L'immagine è affidata a colori accesi e brillanti, per niente realistici ma di assoluta capacità espressiva.

Lasciato il manicomio dove, tra crisi e stati di lucidità, aveva dipinto un numero elevatissimo di opere, si rifugiò presso il dottor Gachet, amico di Cèzanne e di Pisarro, che viveva a Auvers-sur-Oise. È del 1890, l'opera in cui Van Gogh rappresenta la chiesa del villaggio in un’ animata silhouette, osservata dalla parte posteriore dell'abside, che si erge contro il cielo illuminato da un intenso fervore mistico. In primo piano la strada di campagna si biforca in una sorta di accerchiamento dell’architettura, poco realistico ma di sicuro effetto dinamico. Una donna di spalle cammina sul sentiero costeggiando il bordo a ridosso del prato fiorito, come per tenersi a distanza dall'inquietante costruzione che nei suoi contorni ondeggianti e sinuosi sembra muoversi in una danza irrequieta. La tavolozza cromatica di Van Gogh manifesta efficaci effetti di colori espressivi, così le vetrate gotiche sono di un azzurro oltremarino, mentre il resto dell'architettura gioca sui toni del violetto con qualche sorprendente tocco di arancio. Nel paesaggio inquietante è chiaramente trasfuso l'animo tormentato dell'artista.

Il drammatico epilogo
La sera del 27 luglio 1890, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera. Van Gogh fu trovato disteso e sanguinante sul letto. L’artista confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco in un campo vicino. Il dottor Gachet, non potendo estrarre il proiettile, si limitò ad applicare una fasciatura mentre gli esprimeva, comunque, la speranza di salvarlo. Vincent rispose che aveva tentato con coscienza il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe “dovuto riprovarci”: «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca». Rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi.
Trascorse, con il fratello Theo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto. Ad egli confidò «la mia tristezza non avrà mai fine». Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa. In tasca gli trovarono una lettera destinata al fratello ma mai inviata, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità [...] per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione».
Essendo il pittore morto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedirne la salma, e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. La vicina cittadina di Méry, comunque, acconsentì alla sepoltura e il funerale si tenne il 30 luglio. Van Gogh venne sepolto adagiato in una bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta da mazzi di fiori, dai girasoli che amava tanto, dalle dalie e da altri fiori gialli.
“Autoritratto”, Vincent Van Gogh, Parigi, Musèe d’Orsay, 1889

Gauguin giunse ad Arles, richiamato dallo stesso Van Gogh, ma la stretta amicizia tra i due si logorò nelle continue discussioni nate dai loro diversi temperamenti: posato, riflessivo, malinconico Gauguin, irruente e variabile Van Gogh. Alla fine del 1888, la tensione precipitò e Van Gogh divenne violento,e, dopo aver tentato di colpire l'amico con un rasoio, lo rivolse verso se stesso, tagliandosi un orecchio. Per questo negli autoritratti appare bendato oppure di profilo, proprio per nascondere il lato del volto che portava il segno della sua fragilità mentale. Nell’autoritratto, tra i soggetti più frequentati dall'artista, l'espressività dello stile pittorico si lega a quella trasmessa dallo sguardo. Le tecniche di stesura cromatica tentano di tradurre in immagine il complesso e misterioso stato d'animo del pittore.
Il quadro è uno fra gli ultimi di una lunga serie di autoritratti. È risolto quasi a monocromo, giocato sulla tonalità di un delicato azzurro marino. L'unico tocco di colore è costituito dalla barba rossiccia del pittore.
Van Gogh non guarda direttamente lo spettatore, ma volge lo sguardo corrucciato verso un orizzonte molto lontano. La mascella serrata e l'atteggiamento dell'artista denotano grande inquietudine e sofferenza. Il ritratto fu infatti eseguito quando Van Gogh era internato all' ospedale psichiatrico. Questo forte senso di disagio è enfatizzato dalla pannellata, nervosa e contorta che si propaga allo sfondo, anch’esso azzurro e dall'andamento ondulato, che contribuisce, con rara efficacia, ad amplificare la resa del tormento psicologico dell’artista.
Nella seguente galleria si riportano alcune delle più famose opere dell'artista olandese:
Comments